la fuga
Dopo la decisione presa in piazza, come se fosse stato impartito un ordine, ognuno si ritira nel suo guscio senza perdere più tempo in capannelli. Ogni famiglia organizza l’abbandono della propria casa tentando di nascondere i propri avere in un posto sicuro, evitando di far vedere il nascondiglio ai vicini.
Alfonso e Annunziata, sua moglie, decidono di scavare una profonda buca soto una pianta di olivo, tanto grande da poterci infilare un baule dentro il quale riporre gli oggetti di maggior valore. Annunziata non vorrebbe perché ha paura che sotto terra ogni cosa potrebbe rovinarsi ma l’alternativa è lasciare campo libero ai ladri e così si convince e fa come le dice il marito.
Mentre scavano Alfonso racconta che Gennaro gli ha detto che chiuderà tutto in una stanza e la murerà, invece Francesco si servirà di una cisterna secca e ci calerà tutto dentro.
Annunziata scoppia a ridere.
“E mo pecché stai a rire?” le chiede Alfonso.
Annunziata si passa il fazzoletto sulla fronte per asciugare il sudore e dice che trova insensato fare tanta fatica per nascondere le loro cose quando sanno benissimo che appena se ne saranno andati ci sarà chi, indisturbato, farà incetta di tutto e lo porterà in un luogo sicuro.
“Ci’hai ragione, ‘Nunzià, ma mo’ che potemo fa?”
“Niente. Pregamo a Dio prima che ce fa campà, po’ che non ce bombardono le case e po’ che non c’arrobbono tutto!” dice saggiamente Annunziata, stabilendo delle inconfutabili priorità.
La decisione più difficile è scegliere cosa portarsi dietro. Non si vorrebbe lasciare niente ma si può portare poco e si sceglie l’indispensabile.
“I’ gli’aradiu me gliu porto” decide Alfonso.
“Ma do’ gliu mitti chigliu biunzo e che te gliu purti a fa’ se non gliu po’ cchiu’ ‘scotà, co’ tutti chigli tedeschi che girono attorno.”
“I’ me gliu porto e basta!” risponde Alfonso testardamente.
“E fa come cazzo te pare, tanto lo saccio ‘ca si cocciutu!” risponde Annunziata innervosendosi.
Alla fine il bagaglio di Alfonso consiste nella sua radio, di notevoli dimensioni, e qualche attrezzo da lavoro che potrebbe risultare utile. La scelta di Annunziata si orienta sul vestiario, sia estivo che invernale.
“Stai a piglià puro gli pagni de lana? Fa caora ancora” dice Alfonso alla moglie con un sorriso divertito, ripensando alla mantella di Francesco.
“Mo’ fa caora ma quanto trica a venì lo friddo?
“E pe’ quanno fa friddo ancora n’zemo tornati alla casa?”
Alfonso è convinto che resteranno poco lontano da casa e sa che il vero freddo arriva solo a Dicembre inoltrato, ma Annunziata non s’illude di tornare così presto a casa.
“A me me pare che gli fatti se so missi malamente e i le maglie me le porto” risponde Annunziata “a me non me danno ‘mpiccio. E si tu ‘nte portassi sa caccavella appresso, me potissi aiutà a portarene de chiù.”
Arriva il momento della partenza.
Francesca non ha difficoltà a decidere cosa nascondere e cosa portare. Non ha niente di tanto prezioso se non il suo corredo. Prezioso più per un valore affettivo che altro, avendolo ricamato a mano durante gli anni trascorsi in collegio, dalle suore di Gaeta. La mamma ha preferito che crescesse lì perché non voleva che restasse da sola in casa, intere giornate, mentre lei era nei campi. In collegio Francesca ha imparato a ricamare e ha anche conseguito la licenza elementare. Un traguardo che poche ragazze della sua età hanno raggiunto.
Ora deve lasciare la sua casa. Prende innanzitutto i documenti perché Augusto le ha detto più volte che, quando si è lontani da casa, può sempre capitare di dover dimostrare chi si è. Prende quanta biancheria può portare, qualche giocattolo per le bambine e tutti i soldi che ha. Chiude il baule con dentro il suo corredo ricamato e il costume da pacchiana che la mamma ha indossato il giorno delle nozze. Nasconde la chiave sotto un mattone sconnesso del forno a legna. Un ultimo sguardo a quanto ama, una mandata alla porta di casa e, senza voltarsi per non piangere, raggiunge il gruppo diretto a Pulcherini. Anche Elena e Matilde hanno fatto la loro scelta e si presentano con le bambole che il papà gli ha portato quando è venuto in licenza, l’ultima volta. Quelle bambole sono vere, con la faccia di cartapesta, comprate in un negozio di Genova, non come quelle con le quali normalmente hanno sempre giocato, fatte dalla nonna con le pezze di casa.
“Tutti in carrozza, iamo!” Vincenzino esorta.
“Vicenzì” riferisce Caterina “Don Guido ha ditto ca isso se move sulo si gliu cacciano. La chiesa non la po’ lassà sola. Si gliu cerca cacche moribondo come fa?”
“Ma, si ce ne iamo tutti quanti, do’ gli trova gli moribondi?”
“N’è lo vero ca ce ne iamo tutti quanti, sapissi quanta gente s’è ‘nnascusa pe’ le campagne ‘ccà attorno e dento le stalle.”
“Va bo’, pacienza, che potemo fa? Nui, agli Purgarini, gliu preote gliu tenemo” dice Vincenzino “e speramo che ‘ nce serve”.
“Catarì’, sai don Sirvio che vo fa?”
“Chigliu gli sòrdi non gli lassa manco se gli’abbruciono vivo” risponde Caterina “Chigliu ddavero non se move manco co’ le scoppettate. Si se more, peggio pe isso, manco nu rechia materno gli dico.”
“Catarì, m’è venuto a mente Minicuccio e la figlia, sai chello che fanno?”
“‘Minicuccio se n’è fuito prima de tutti, senza manco aspettà le scoppettate. Ci’aveva ragione la figlia. Nso’ iuti lontano, se so’ nnascusi ‘mmezo a ‘na campagna, sotto a Spigno.”
Fatto un grossolano appello si decidono a partire.
Per il trasporto degli sfollati vengono utilizzati alcuni carretti e così i poveri fuggiaschi si risparmiano la fatica di percorrere a piedi la distanza tra Minturno e Pulcherini, distanza che risulterebbe pesante più per il fardello che ognuno si porta dentro che per quello che porta addosso. I gruppi per il Nord e per il Sud si sono organizzati con il treno o con delle camionette, ognuno per conto proprio.
I carretti partono senza che venga scambiato neanche un saluto con i pochi rimasti. Nessuno ha voglia di salutare perché c’è la sensazione che potrebbe essere un addio. Preferiscono tenersi dentro quel muto dolore, facendo finta di niente come se, in tal modo, la sofferenza potesse diminuire.
Il corteo per Pulcherini, lento e malinconico, si avvia verso un nuovo, sconosciuto destino.
L’andatura dei buoi è adatta all’animo funereo delle persone in fuga.
marica riccardelli
via c. colombo 177
04026 m. di minturno (LT)