l’Opera Pia
(questo racconto si ispira a personaggi esistiti e ad eventi realmente accaduti ma la situazione che fa da cornice è del tutto inventata. I nomi dei personaggi sono di fantasia per una questione di privacy, inoltre la figura di Padre Lorenzo accomuna due dei sacerdoti che hanno dato vita all’Opera Pia)
”Ave Maria, gratia plena…” intona Caterina, la direttrice dell’orfanotrofio, con voce carica di tensione.
”Santa Maria, mater Dei…”continuano le voci monotone delle pie donne, raccoltesi in chiesa, per recitare il rosario.
Sono abituate a sciorinare preghiere ogni sera, da anni, ma stasera pregano con una intensità insolita e per un motivo molto sentito. Pregano perché il buon Dio faccia spirare senza troppa sofferenza Padre Lorenzo, il loro parroco, da giorni agonizzante sul letto di morte.
Con lui c’è il dottore e lo assiste con tutto l’affetto che merita una persona che ha trascorso la sua vita sempre prodigandosi per gli altri. E’ stato il dottore, stanco dell’invariato cadenzare delle litanie, ad avere invitato le donne a continuare il rosario in chiesa. Ha pensato che forse, alle continue preghiere, il moribondo avrebbe preferito un po’ di silenzio.
L’enorme edificio in cui vivono è noto a tutti come l’Opera Pia, una fondazione nata per caso, grazie all’impegno di Padre Lorenzo, ma senz’altro imposta dalla necessità di dare asilo agli orfani della seconda guerra mondiale, lì a Minturno.
Le pie donne, così chiamate in paese, sono una manciata di collaboratrici che da anni dedicano la loro vita alla missione iniziata dal parroco che, con il passare del tempo, si è rivelata un compito sproporzionato per le loro forze. Solo l’abnegazione e il sacrificio continuo di tutti rendono possibile l’impresa, ovviamente sostenuta anche da forze esterne.
La più energica del gruppo è senz’altro Caterina, detta la direttrice perché ha preso le redini della baracca sul nascere, anche sostituendo Padre Lorenzo quando è capitato che si assentasse per motivi legati al suo sacerdozio. Caterina e il marito Osvaldo, coppia senza figli, hanno deciso di indirizzare tutte le loro energie a sostegno dei bisognosi. Caterina assumendosi il compito di procurare cibo e panni per tutti; Osvaldo, invece, dedicandosi ai lavori di piccola manutenzione o a qualsiasi altra cosa più adatta a braccia e a esperienza maschili. A Cesira e a Virginia, due delle collaboratrici, è stato affidato il compito della cucina, della pulizia della casa e della biancheria. La sorte le ha accomunate, non soltanto nella realizzazione di quest’opera benemerita ma anche in una situazione di disagio per un difetto fisico, molto comune nel dopoguerra: entrambe zoppicano perché colpite, in tenera età, da poliomielite. Nessuna delle due ha trovato marito e, non avendo impegni di alcun tipo, è stato più facile che per Caterina decidere di aiutare Padre Lorenzo nella sua caritatevole impresa.
Il suo aiuto lo dà anche Giovannina, una suora mancata, addetta alla sartoria. Non ha potuto prendere il velo perché l’ordine da lei prescelto, quello del paese, per tradizione accoglie signorine di nobile famiglia e, abitualmente, chi vi entra offre una cospicua dote, somma che la famiglia di Giovannina non avrebbe potuto racimolare neanche mettendo insieme tutto il benessere di parecchie generazioni.
La più giovane delle collaboratrici è Maddalena. Si trova in quel manipolo perché la guerra le ha distrutto casa e famiglia e, non sapendo dove alloggiare, si è rifugiata, su invito di Caterina, all’Opera Pia. Naturalmente, essendo grandicella contribuisce a mandare avanti la casa, lavorando alacremente.
”Kirje Eleison”…
”Ora pro nobis”.
Il rosario è terminato, anche tutte le litanie sono state recitate. Caterina, in punta di piedi, arriva fino al corridoio dove dà la camera di Padre Lorenzo per interpretare i rumori che potrebbero provenire dall’interno. Niente lascia capire come stanno andando le cose. Avvilita se ne torna in chiesa e per un po’ si guardano in silenzio. Per timore di disturbare decidono di ritirarsi in cucina.
Non osano parlare ma i loro sguardi esprimono un’unica, condivisa preoccupazione.
”Che il Signore lo prenda sotto la sua protezione ” dice Virginia una volta entrate in cucina, sicura di non essere sentita dalla camera del moribondo.
”Ci mancherebbe che non lo facesse ” risponde Maddalena ”dopo una vita di stenti trascorsa a sacrificarsi per gli altri.”
“Vi ricordate come era ridotto il nostro territorio quando arrivò Padre Lorenzo? Si vedevano solo macerie e disperazione.” dice Caterina, portando il pensiero di tutte alle origini della loro storia.
Così, quasi per accompagnare il loro parroco nel cammino che si appresta a intraprendere, ricordano i tempi andati, iniziando da quella lontana estate del ’44, quando Padre Lorenzo, ordinato sacerdote da poco, arrivò lì per sostituire il parroco, saltato su una mina, mentre si dirigeva verso il rifugio di un moribondo per impartirgli l’estrema unzione.
Di carattere docile , molto incline a comprendere gli altri, sempre pronto ad aiutare chi ne avesse bisogno e molto attento alla sorte dei suoi parrocchiani, si rese subito conto di avere di fronte una strada in salita per il suo apostolato ma non ne immaginò subito tutta la difficoltà. Malgrado tutto si dimostrò molto fermo nei suoi propositi. Il timore di non farcela non bastava per farlo desistere da un’impresa anzi, di fronte agli ostacoli, la sua grinta aumentava. Smise i suoi abiti di uomo mite e, imponendosi uno spirito battagliero si rimboccò le maniche e cominciò la sua opera.
Nel ’44 il paese era distrutto, gli sfollati rientravano alla spicciolata da varie parti d’Italia e si andavano sistemando alla meno peggio in case che per metà erano in piedi e per metà squarciate dalle bombe. Chi poteva si rifugiava in campagna, in quanto i casolari non erano stati presi di mira dai bombardamenti, come lo fu il paese. La luce mancava e l’acqua bisognava andare a prenderla ad una sorgente distante circa tre chilometri. Non si vedevano volti sorridenti in giro. Tutti erano impegnati a concentrare le forze per ricostruirsi un alloggio.
La chiesa era rimasta in piedi e anche la canonica ma Padre Lorenzo ebbe ben presto occasione di cedere la sua dimora a chi ne aveva più bisogno di lui.
Una mattina, infatti, girando per le fattorie per conoscere i suoi parrocchiani, trovò due fratellini, rimasti orfani di entrambi i genitori, che vivevano completamente soli, rifugiati in una stalla, cibandosi dei prodotti che la terra offriva ancora dalle passate colture. Erano sporchi e laceri e apparvero talmente terrorizzati alla vista di un essere umano che Padre Lorenzo dovette avere molto garbo e pazienza prima di poterli toccare. Chissà cosa li aveva terrorizzati in quel modo. Non appena fu stabilita un po’ di confidenza prese in braccio il più piccolo e, con il più grande attaccato alla tonaca, se ne tornò in parrocchia, li accudì come meglio poté e …benché non ne avesse avuto coscienza, Padre Lorenzo aveva fatto il primo passo che lo avrebbe portato alla costruzione di un orfanotrofio.
Quella notte non riuscì a dormire, non perché avesse ceduto il suo letto ai due bambini, sistemandosi sul pavimento, ma perché era tormentato dal pensiero che altri bimbi potessero trovarsi nelle loro condizioni, in qualche casolare abbandonato. Non vedeva l’ora che facesse giorno per cominciare a battere a tappeto tutta la zona. Ma a chi avrebbe affidato i due bimbi durante la sua assenza? Erano troppo piccoli e, soprattutto, troppo impauriti per poterli lasciare incustoditi in un ambiente che non conoscevano. Come avrebbe procurato loro del cibo? E per accudirli? Questi pensieri lo fecero girare e rigirare sul duro assito per quasi tutta la notte. Poi, come uno squarcio nelle tenebre, si ricordò di aver conosciuto una coppia di coniugi senza figli, Caterina e Osvaldo, che avevano tutta l’aria di essere persone timorate di Dio e di buon cuore, correvano sempre in aiuto dei sofferenti e già gli avevano offerto il loro aiuto per la parrocchia. Avrebbe chiesto a loro due di dargli una mano. Questa soluzione gli sembrò possibile e si tranquillizzò, riuscendo così anche a prendere sonno.
Anche questa volta, senza rendersene conto, aveva fatto un altro passo importante: aveva trovato il suo braccio destro. Caterina e Osvaldo non se lo fecero ripetere due volte. Si presero cura dei bambini, misero a disposizione la loro casa perché, già dalla seconda sera i bambini erano diventati 3 e poi 5. Caterina pensò di chiamare Maddalena che, orfana anche lei, non aveva legami di nessun tipo e avrebbe potuto darle una mano in casa, mentre lei si sarebbe occupata di faccende all’esterno.
Cesira, Virginia e Giovannina si aggiunsero ben presto perché i bambini aumentavano di giorno in giorno.
Dopo pochissimo tempo l’alloggio cominciò ad essere un grosso problema, ma per fortuna, tramite l’intervento dei superiori di Padre Lorenzo e, soprattutto, grazie al buon cuore di persone caritatevoli, fu messa a disposizione una palazzina di proprietà di persone abbienti, non residenti in paese, e così i bimbi ebbero un tetto decoroso e una prima sede.
Il loro numero cresceva velocemente. Sfamarli non era semplice e Caterina girava tutto il giorno per le campagne cercando ciò che la terra offriva e anche il buon cuore della gente. Tutti sapevano per chi Caterina chiedeva pane, fagioli o altro e quasi nessuno, anche a costo di toglierselo di bocca, l’aveva mai mandata a mani vuote.
Approntare vestiti era compito di Giovannina. Cuciva dalla mattina alla sera utilizzando panni smessi, divise militari recuperate e, per la biancheria intima, stoffe ricavate dai sacchi della farina offerta dall’ECA e in seguito anche le pezze che avvolgevano i pacchi che arrivavano dall’America.
Con gli aiuti americani la vita migliorò notevolmente. Dall’America, propriamente dai paesani immigrati lì, cominciarono ad arrivare anche soldi.
Nel giro di alcuni anni fu veramente posata la prima pietra di un enorme edificio che li avrebbe ospitati tutti. Ma quanti sacrifici, quante trepidazioni, quanta paura di non farcela. Quante sere Padre Lorenzo aveva poggiato i gomiti sul tavolo e, con la testa tra le mani, aveva pregato e riflettuto sul da farsi. Ogni tanto la scuoteva e non diceva a nessuno quale fosse il suo problema. Non voleva preoccupare le donne ma loro intuivano immediatamente quando qualcosa preoccupava Padre Lorenzo e, allora, il silenzio scendeva sul loro cicaleccio.
E di problemi ce n’erano stati veramente tanti. Padre Lorenzo ne aveva affrontati e risolti, di ogni tipo. Le avversità dipendevano sia dai tempi sia dagli ostacoli frapposti da aspetti burocratici e di meschinità umana. Aveva dovuto anche mandar giù l’amarezza di sentire pettegolezzi sul suo conto, da parte di gente malpensante che non riusciva a spiegarsi come mai un uomo, anche se prete, stesse dedicando la sua vita completamente agli altri, senza nulla pretendere, e vivendo insieme a tante donne senza subirne tentazione. Nessuna di quelle malefiche persone si era mai accorta della tonaca tutta un rattoppo e delle scarpe risuolate oltre il consentito. Lui aveva saputo essere la forza motrice di un meccanismo che era cresciuto a dismisura con il passare degli anni, mai aveva fallito e …
Il dottore entra in cucina e il volto delle donne scolora, sapendo che non c’è più nulla da fare.
”Venite, vi vuole ” dice il dottore.
”Tutte?” chiede Caterina?
”Si, tutte, anche Osvaldo ” precisa il dottore.
Si affrettano a raggiungere il suo capezzale, in punta di piedi, per timore di disturbare i suoi ultimi momenti di vita terrena. Entrano nella stanza semibuia, si dispongono intorno al suo letto, pronte a percepire qualsiasi piccolo movimento o parola di quell’uomo che sta affrontando l’ultima prova, la più difficile, quella della resa dei conti. Si prepara a presentarsi davanti al Signore che avrebbe scandagliato le parti più nascoste della sua anima per il giudizio finale.
Il dottore gli tasta continuamente il polso. La sua fronte è madida di sudore, qualcosa lo tormenta.
”Perché mai non riesce a spirare? Lui, una persona integerrima !” bisbiglia il dottore.
Parla a fatica e solo a tratti. Fa leva su tutte le sue forze per rivolgere un addio amorevole a tutte le sue collaboratrici, poi fa cenno a Osvaldo di avvicinarsi. Osvaldo, che fino ad allora si è mantenuto un po’ in disparte per permettere alla moglie e alle altre donne di stare più vicine al loro amatissimo Padre Lorenzo, si avvicina a lui e presta molta attenzione al minimo soffio che esce dalle sue labbra.
Più con gli occhi che con le parole Padre Lorenzo fa capire a Osvaldo di aprire il primo cassetto, a sinistra, della sua scrivania e, sempre a cenni, lo guida a prendere una busta ingiallita dal tempo, che vi si trova dentro. Ovviamente il passo successivo è l’apertura della busta. Dentro c’è una foto di un gruppo di bambini, del tutto simili ai loro ospiti, e dietro la foto un elenco di quindici nomi e un indirizzo. L’indirizzo è quello di una parrocchia sperduta tra le montagne, meta di frequenti viaggi di Padre Lorenzo, dove egli, all’insaputa dei suoi collaboratori, stava facendo nascere un centro di raccolta simile all’Opera Pia. Non ne aveva mai parlato con nessuno perché non voleva che qualcuno si preoccupasse per lui.
Malgrado la buona volontà, però, non era riuscito a ripetere l’impresa e si portava appresso un enorme cruccio.
“Vai a prenderli” dice a Osvaldo “gliel’ho promesso, mi aspettano.”
Reclina il capo e, in pace, inizia il suo viaggio verso il Padre.
marica riccardelli
via c. colombo 177
04026 m. di minturno (LT)